Gaspare
De Marinis |
|
(Pratola
Peligna, 1840 – Raiano, 11 aprile 1893) è
stato un garibaldino e un anarchico italiano.Molti
patrioti abruzzesi che avevano partecipato
attivamente alle insurrezioni pre-unitarie e alle
campagne militari, attuate dal 1841 al 1867 con
l’obiettivo di liberare ed unificare il Paese,
non scelgono di adeguarsi alla normalizzazione
moderata e borghese in atto.
In
circa 180 si raccolgono attorno al programma
dell’Associazione Democratica Giovanile,
costituita il 2 ottobre 1869 a L’Aquila su
ispirazione dell’avvocato repubblicano Pietro
Marrelli.
Tra
i circa 180 soci dell’Associazione figura anche
il nome di Gaspare De Marinis.
|
|
Con
Garibaldi
|
|
Durante
il regno borbonico aveva subito una condanna a
quattro mesi d’esilio ed altre noie con la
giustizia. A soli 20 anni è volontario
garibaldino nella brigata Sacchi, partecipando, il
2 ottobre 1860, alla battaglia sul Volturno,
guadagnandosi il riconoscimento della medaglia
d’argento. Nel 1867 è di nuovo volontario nella
Squadra Garibaldina del Capitano , col grado di
sottotenente, distinguendosi per valore
nell’invasione degli Stati pontifici e negli
attacchi del 3 novembre a Monterotondo e Mentana.
Conclusa
la fase unitaria, non soddisfatto come tanti
ex-garibaldini dello stato di cose presenti, De
Marinis continua a lottare e a tenersi in contatto
con i più tenaci e convinti propugnatori delle
idee internazionaliste e repubblicane, con
l’immediato obiettivo del superamento del regime
monarchico.
|
|
Nell’Associazione
Democratica Giovanile
|
|
L’Associazione
Democratica Giovanile costituita all’Aquila
degli Abruzzi si propone «il conseguimento della
uniformità e costanza di principi democratici,
tanto nell’ordine morale, quanto nell’ordine
Civile e Politico, e l’attuazione di essi». La
sua opera non è quindi «limitata ai soli membri
che la compongono, impeciocché assume il dovere
di spargere largamente i suoi principi informanti
una razionale e proba democrazia, insiti
nell’ordine immutabile essenzialmente sociali,
stabiliti dalla natura nella verità, nell’equità
e sopra la giustizia, di che ogni stato
felicemente vive se democraticamente ben ordinato».
Presidente
e segretario dell’Associazione sono
rispettivamente Tommaso Pisarri e Carlo Leoni;
oltre a De Marinis, vi fanno riferimento
garibaldini, mazziniani e democratici in senso
lato, stimolati, peraltro, dall’importante
periodico Lodigiano «La Plebe» di Enrico
Bignami, giornale che, in seguito, dopo aver
seguito gli avvenimenti in seno alla Prima
Internazionale, diventerà corrispondente di Marx
ed Engels.
Negli
anni 1868-1871, nelle colonne del periodico sono
frequenti i trafiletti, le sottoscrizioni, le
richieste di materiale (opuscoli di propaganda,
ritratti, almanacchi) da Pratola Peligna, Chieti,
Tagliacozzo, Sulmona e L’Aquila. Dalle varie
corrispondenze emergono la protesta per le
disumane condizioni di vita delle popolazioni
abruzzesi, lo spirito utopistico e democratico, le
istanze socialisteggianti e quelle anticlericale
dei militanti dell’Associazione.
Da
Pratola Peligna, ad esempio, a nome di Ilario
Ortensi perviene alla redazione del giornale –
accompagnata dalla seguente motivazione: «per
la Giustizia e la Libertà. Salve alla Repubblica
Universale» – l’adesione
all’Anticoncilio, all’iniziativa cioè
promossa a Napoli dal deputato Giuseppe Ricciardi
in contrapposizione al Concilio Vaticano che si
tiene a Roma:
|
|
« All’Illustre
Cittadino Giuseppe Ricciardi deputato,
promotore dell’Anticoncilio Ecumenico [o
congresso degli atei!] in Napoli, i
sottofirmatari abruzzesi, interpreti della
coscienza civile dei loro comprovinciali
fanno per essi piena adesione a tutte le
risoluzioni che esciranno
dall’Anticoncilio Ecumenico di Napoli,
contro quello di Roma; ed anelano il
giorno di poter soffocare nel sangue la
bestia papale di cui Alfieri dicea: Il
Papa, è Papa e re di mal talento; dessi
aborrir per tre, schernir per cento: e così
vendicare quest’altra onta degli
assembrati malversatori, al più nobile
attributo dell’uomo – il pensiero » |
|
|
L’iniziativa
di Ricciardi è clamorosa e contribuisce a
rinfocolare tra garibaldini e democratici
l’avversione allo Stato pontificio e la necessità
della lotta: molti, infatti, sono gli abruzzesi
che, in varie forme, aderiscono
all’Anticoncilio. Solo da Pratola Peligna, oltre
a De Marinis aderiscono a titolo individuale
anche: Giuseppe Croci, Pietro Cotella, Giuseppe De
Stephanis, Paolo Di Salle, Antonio D’Alessandro,
Filippo Giammarco, Leopoldo Grilli, Raffaele
Jacantelli, Giovanni Mariani, Bernardo Mancini,
Onia Ortensi, Cesidio Prosperi, Luigi Prosperi,
Giansilverio Tedeschi, Oreste Tedeschi, Zaccaria
Tedeschi e Bernardino Zagari. Non bisogna
dimenticare che il ricordo del massacro di Mentana
ad opera delle guardie pontificie e degli zuavi è
ancora vivo, e che l’Abruzzo aveva contribuito a
quel tentativo con circa 1.700 uomini: si capisce,
allora, lo spirito anticlericale diffuso che anima
l’ambiente democratico. Inoltre è ancora
scottante il ‘tradimento’ della monarchia
sabauda che, mandando allo sbaraglio i
garibaldini, ne brucia le ultime speranze di dare
un assetto diverso all’Italia Unita,
presentandosi così come la sola forza
liberatrice.
....
Il
clima di reazione si fa sentire un po’ ovunque,
come si evince dall’episodio che coinvolge
direttamente De Marinis, prima denunciato per
oltraggio dal Pretore di Pratola Peligna, «borbonico
e clericale», e poi colpito da mandato di
cattura, emesso dallo stesso in data 17 dicembre
1870, perché segnalato quale «ateo,
materialista, repubblicano e uomo pericoloso»:
...
« Pratola
Peligna, 1 novembre 1871
Mi è venuto a notizia che nel Regio Tribunale del
Circondario di Sulmona sarò citato a comparire
imputato di oltraggio verso questo pretore di
Pratola Peligna, Spina Giuseppe, di Teano, presso
Capua, borbonico e clericale oltre ogni dire; ma
che ha l’abilità di sapersi infingere in guisa
che può ben dire ‘castigo i miei nemici coi
miei nemici’. Ripeto, citato a comparire il 24
del corrente mese. Ed ecco il reato: la sera del
14 dicembre 1870 ebbi con esso pretore discussione
politica sulle notizie del giorno, nella quale
conchiusi contro suo parere che Parigi sarebbe
addivenuta la tomba della monarchia prussiana, e
per quelle medesime ragioni che avreste voi potuto
addurre. Il vice cancelliere della Pretura, con il
quale io era rotto da tempo per motivi privati, e
che non frequentava più la farmacia del paese –
locale in cui avveniva detta discussione – vi
era apparso con contegno sospettoso. Immaginai che
fossemi teso un tranello a delinquere contro
l’attuale ordine di cose; per il che, uscito di
farmacia per avvisare i miei compagni di ciò che
avrei fatto, tornai in essa a dire al vice
cancelliere: che ove mai la sua insolita presenza
colà io la dovessi ritenere per una provocazione,
lo intendeva sfidare con le armi a duello, se egli
accettasse. Risposemi di si. E tutto era finito.
Circa un quarto d’ora dopo io ritornai nella
farmacia, e vi rinvenni il suddetto pretore ed il
maresciallo dei carabinieri. Lo Spina, cioè il
Pretore, in tono insinuante, voleva indagare i
motivi della sfida; al che io risposi non aver
fiducia in lui. Egli ricomponendosi dissemi che se
non avevo fiducia in lui come Giuseppe Spina,
dovessi avergliela come Pretore. Al che io,
tornandomi alla mente le altre due volte nelle
quali ordinava invano agli agenti della forza
pubblica di verbalizzarmi e di violare il mio
domicilio, gli risposi che era un borbonico: e che
quando avessi dovuto aver fiducia in un’autorità,
l’avrei piuttosto nel maresciallo dei
carabinieri, certo Cortese di Torino, che era
presente al diverbio. A questo il Pretore,
dimenandosi da arrabbiato Coviello, mi ordinava
gli arresti; io li ingiungeva a lui in nome di
lesa libertà cittadina. Il maresciallo rimase
immobile; e l’un dopo l’altro andammo via. Il
Pretore l’indomani si recò dal regio
Procuratore di Sulmona, signor Mazzaradolcini,
calabrese – ora in Lanciano, provincia di Chieti
– a farmi la biografia di ateo, materialista,
repubblicano, uomo pericoloso, etc…etc…: ed
eccoli che dietro le conclusioni del signor Rossi
Andrea, milanese, altro sedicente liberale giudice
istruttore, mi veniva fuori un mandato di cattura.
La sera del 17 dicembre 1870 io rivedeva le mura
di Santa Monica di Sulmona, dove nell’estate del
1850 moriva mio zio Tedeschi Gabriele, vittima
della reazione borbonica di questo paese (leggesi
nel martirologio italiano di Atto Vannucci). Vi
rimasi tre dì e vi meditai l’importanza degli
avamposti, nel servizio garibaldino – trincee di
libertà… Il leale Mazzadolcini accordatami la
libertà provvisoria, e visitato da me e da amici,
tra i quali Bonetta Michele di Modena ex-capitano
garibaldino, ci significava aver errato, e ci
prometteva rimessa della causa nella Prefettura di
Pratola. Partendo per nuova destinazione a
Lanciano, dava ordini in contrario. Ed ecco che il
signor Ferdinando Villani di Foggia, attuale
presidente in Sulmona, apre le fauci a divorarsi
questo comunista » (
Gaspare De Marinis)
|
|
In una seconda
corrispondenza:
|
|
« Il
giorno 24 u.s., il Tribunale Circondariale di
Sulmona, facendo atto di giustizia, e rendendo
omaggio alla pubblica opinione, dietro rinunzia
dell’attuale sostituto pubblico ministero
all’accusa, sentenziava: non ritenere a reato le
imputazioni di Giuseppe Spina di Teano, nella
qualità di pretore indebitamente assunta contro
lo scrivente, che qualificavalo borbonico. Un
pubblico intelligente fece plauso alla
deliberazione con voci di bene! bravo! Il verbale
dello Spina produsse scandalo perché artatamente,
ma spudoratamente difforme dalle deposizioni dei
testi, dal rapporto della forza pubblica, dalla
confessione dell’imputato, fin dall’11
dicembre 1870 esposta al sotto prefetto Vitale, ed
al Mazzadolcini rappresentante il P.M. in allora,
che pensò saviamente dimenticarla… Detto
verbale era una rete menzognera di addizioni di
reità per me, e di sottrazioni per lui: i suoi
argomenti di accusa, erano quelli che lo
definivano borbonico e clericale: perché la sera
del 3 ottobre 1869, mentre attraversava la piazza
un funebre convoglio altisonante per orda di preti
– baldanzosi del concilio – che posava la bara
presso il caffè e fischiati dallo scrivente; si
fu lui che tentò di promuovere una sommossa
clericale patrocinando clamorosamente la causa dei
retrogradi, se a sventarla non si fosse frapposto
Croci Giuseppe da Colico, ex-maresciallo dei
carabinieri. Il Mazzadolcini sa anche questo… E
si fu lui lo Spina, che pochi dì appresso la
breccia di Porta Pia, avendo io affisso nel caffè
il giornale bolognese, La rana: indispettito dalla
pubblica ilarità per la goffa figura del massimo
chiercuto, che scivolava dalla coda di un asino e
di quella del bersagliere raffigurata nel sole
nascente; sotto pretesto di ordine pubblico – da
nessuno turbato – e ch’egli si fosse il Gran
Giustiziere per lo Regno delle due Sicilie –
schiamazzò per farla togliere, ma accusando
poscia in Tribunale promotore di rivolta sotto
manto liberale: ed eccomi divenuto seco lui
collega! Bella ‘sta manovra per far carriera in
magistratura!... E poiché il ridicolo s’innesta
anche nel becchino, mossero la pubblica ilarità
le accuse e gli atti prodotti dalla sfidato a
duello signor Matesi Concezio da Sulmona; che
mentre nell’atto accettava la sfida, e poi ne
millantava ritardo – da lui dipendente –
rinsavito da un formale biglietto, lo denunziava
alla giustizia, conquistandosi di minaccia di
vita, con riserva a compenso civile, senza che
alcun frammento della sua lunga proboscide gli
venisse asportato. Tali documenti furono letti
nell’udienza. Con siffatti procedimenti credé
lo Spina, col pretesto di lesa autorità –
termine vano se non sia sinonimo di legge di
giustizia – rifarsi presso il tribunale del suo
inopportuno amor proprio, leso in questioni
politiche, combinandole con la rachitica frase
dell’essersi rivestito di carattere: ma ne fu
reietto; ed i testimoni rimasero sorpresi dalla
simulazione. Ma a costui è però sufficiente
l’avermi doppiamente danneggiato nella libertà
personale e nella borsa; nonostante ‘il non
farsi luogo a procedimento’ perché in Italia la
giustizia è merce aristocraticamente cara,
annullandosi così il patto sociale che la vuole
essenzialmente gratuita. Ed oltracciò lo Spina è
sicurissimo di non esserne responsabile, perché
l’imputa al signor Mazzadolcini, lo scrupoloso
funzionario a rovescio, che senza devenire ad
un’onestà, cioè pareggiata istituzione tra
l’accusante e l’accusato fa eseguire pria la
pena, e poi ne discute il merito. I
capibattaglioni della Comune distribuivano note
d’identità personale, per evitare soprusi e non
devenire a postume ricognizioni: ma il signor
Mazza e poi Dolcini, da Nicastro in Calabria, ora
Pubblico Ministero in Lanciano provincia di
Chieti, la sa più dotta che quei ladri
incendiari, sanguinari comunardi, così come li
cantano i bigotti bifolchi di Versaglia. Ma sarà
una buona volta con me compensato il bilancio
della Finanza, le noie ed i movimenti di molti? E
se in America si valuta il dolore, nella rifazione
dei danni, conviene aggiungervi anche il pensiero
occupato per colpa altrui? Ai defunti l’ardua
sentenza… Nui non chiniam la fronte »
(
Gaspare De Marinis)
|
|
Nel
1871 l’Associazione Democratica Giovanile avvia
le pubblicazioni del settimanale d’ispirazione
repubblicana e democratica «La Giovane Democrazia»,
giornale razionalista, socialista, popolare,
come recita il sottotitolo. Il primo numero esce
il 24 novembre 1871, in cui viene esposto ai
lettori il programma politico che afferma che
l’equilibrio sociale si realizza
nell’uguaglianza e nella fratellanza fra gli
uomini. Il settimanale diviene in breve tempo
portavoce del dissenso e della protesta dei
cittadini di varie località abruzzesi,
denunciando soprusi e malgoverno che continuano
nonostante il nuovo assetto politico-istituzionale
della penisola. De Marinis collabora assiduamente
al giornale, riferendo delle proteste operaie di
Pratola Peligna, della questione sociale, oppure
intervenendo per sollecitare la modifica alle
denominazioni che ricordano la schiavitù feudale
e la superstizione, e quindi ad intitolare strade
e piazze «a chi nel patibolo, negli ergastoli,
nelle barricate ed in campo aperto ci permettono
ora di appellarci da terrazzani, Liberi Cittadini;
ed al Cirillo, Pagano, Caraffa, Toscano, Pimentei
ecc… ecc… Bandiera, Agesilao Milano, Pisacane,
Rosolino Pilo; vi è una serie inesauribile di
nomi benemeriti dell’umanità, per qualunque
grande paese».
|
|
Da
Garibaldi a Bakunin
|
|
L’esperienza
della «Giovane Democrazia» ha breve durata, sia
a causa delle divisioni interne che cominciano ad
emergere nell’Associazione ma anche per le
numerose querele e condanne che colpiscono la
redazione, a causa delle inchieste contro le
istituzioni del nuovo Stato e sul malgoverno
municipale, delle aspre battaglie anticlericali,
degli interventi che reclamano la soppressione
delle corporazioni religiose, degli articoli che
in generale contengono «atto di adesione ad una
forma di governo che non è quella dello Stato, e
voto di distruzione dell’Ordine Monarchico,
provocazione ad insorgere contro i poteri
costituiti ed eccitamento all’odio fra le varie
condizioni sociali».
...
In
effetti, quei valori di uguaglianza sociale,
giustizia e libertà che avevano informato i
programmi di rinnovamento politico del movimento
garibaldino, sedimentandosi in maniera ben salda
nella coscienza di diverse generazioni di
patrioti, trovano ora un quasi naturale sbocco
nell’anarchismo, nel socialismo e nelle nascenti
organizzazioni internazionaliste, tra le cui leve
la partecipazione di ex-garibaldini è
numericamente consistente. La solidarietà
internazionalista inizia così a trovar
timidamente spazio anche sulle colonne de «La
Giovane Democrazia», innanzitutto con
l’espressione di indignazione per quanto
avvenuto in Francia ad opera del capo del governo
Thiers, che pur avverso al ritorno della
monarchia, con l’appoggio dei prussiani,
sconfigge e reprime con durezza il popolo parigino
insorto.
...
L’eco
del triste epilogo della Comune di Parigi risuona
sulle pagine del periodico aquilano per mezzo
della seguente lettera di De Marinis:
|
|
« Adolfo
Thiers, quel gibboso impasto di carne ed
ossa, dagli occhi di cicala e naso a becco
di civetta; boia e stirapiedi in uno del
popolo di Parigi che è nostro fratello
con l’articoli 1° della legge francese
contro l’internazionale [… che
tuttavia] accenna ad una manifesta
necessaria riconoscenza teorica dei
principi internazionalisti, dei quali la
pratica esecuzione vuole scongiurarsi dal
privilegio […] sappia pure che i popoli
han definita la guerra, valvola sanguinosa
di sicurezza ai tiranni: e che cacciati
scannansi l’un l’latro; d’oggi
innanzi al riscontrarsi inneggeranno alla
Fratellanza solidale, faran fascio delle
armi, bivaccheranno insieme: e poi
passeranno alla ricerca dei parassiti
dalle ipocrisia di patria, di orgoglio
nazionale, di onor militare, di spirito di
corpo e simili ampollosità, da caserma o
da tappeto o libro variopinto da
diplomatico: e concederanno ad essi il
passaggio per la armi: cioè gliene
renderanno gli onori […]. Contro
l’Associazione internazionale dei
Lavoratori il rantolo dell’agonia ne
chiude la strozza. Gli internazionalisti
non intimano atti per uscieri né
richieggono alcuno di braccio forte per
sospensioni od abolizioni; essi non hanno:
1) che un motto – Verità, Giustizia,
Morale. 2) che una legge – non doveri
senza diritti, non diritti senza doveri.
3) che una funzione – la solidarietà,
riassunto della Libertà,
dell’Uguaglianza e della Fratellanza. La
loro proprietà è il lavoro, la loro
famiglia è la religione da essi alitata,
la loro patria l’Umanità, la loro
religione la scienza sperimentale […].
Il sangue del popolo di Parigi ci ha
toccato le nari … i gemiti dei
prigionieri ci sussurrano gli orecchi » |
|
|
Coerente
col suo pensiero, De Marinis non riesce ad
inserirsi in una ‘normalità’ post-unitaria
fatta spesso di ipocrisie, di compromessi e di
convenzioni; si unisce ad una donna di «ineguale
condizione», cosa che in qualche modo fa
scandalo. Il padre non lo accetta più in casa e,
dopo molte tensioni, il contrasto si acuisce a tal
punto che, il 23 maggio 1872, Gaspare minaccia di
morte il padre e spara tre colpi di revolver
contro la sua casa. Denunciato dal genitore, viene
arrestato il 28 maggio 1872, processato il 19
luglio dal Tribunale di Sulmona e condannato a 7
mesi di carcere, 51 lire di multa e 3 anni di
sorveglianza speciale.
A
causa degli insanabili dissidi familiari, nel
maggio 1872 Gaspare aveva intanto assunto il
cognome ‘Ises’, notificandolo al sindaco, al
Pubblico ministero e alla redazione de «La Plebe».
Al periodico di Lodi, non potendo inviare più
sottoscrizioni per le difficili condizioni
economiche in cui si è cacciato, invia la sua
medaglia d’argento, commemorativa della guerra
d’Indipendenza Italiana.
Nel
frattempo, anche il settimanale «La Giovane
Democrazia» è caduto in gravi difficoltà e
della sua sorte si preoccupa De Marinis, con una
lettera inviata dal carcere di Sulmona al
direttore del periodico aquilano, Carlo Leoni, suo
ex-compagno d’armi nelle ultime campagne per
l’Unità:
|
|
« Or
vedi che cosa ci tocca a vivere dopo la
rivoluzione del 1860!...Caro Carlo, se non
mandiamo giù la patria potestà giuridica
prima della questione politica, correranno
altri anni di barbarie sociale, ed avremo
la repubblica alla Thiers. Per mezzo di un
detenuto mandai una mia lettera ad Ignazio
d’Andrea nelle prigioni di costà, non
so se ancor vi sia. Il detenuto era un
sarto di bassa statura, a nome Falcioni
Giovanni di Castel di Sangro. Fanne
ricerca del recapito. Lessi, come mi
dicesti, la tua requisitoria per la caduta
del giornaletto: è cosa da far arrossire
i capelli l’egoistica apatia di questi
cafoni borghesi, bigotti – Sulmona poi
è il tipo. Benché non conosca di viso
Peppino Ciolina, genero dell’amato
Marrelli, fammi il piacere di salutarlo.
Ricordo di avergli mesi fa fatto tenere
una lettera in Sulmona, rimessami dal suo
amico Montenegro Niccolò di Andria in
Puglia, uno dei rari progressisti. Attendo
notizie da te, e dell’Associazione perché
lessi su «La Plebe» che si sarebbe in
Aquila costituito un nucleo di
Consociazione repubblicana con quello
delle Romagne… » |
|
|
Con
la cessazione delle pubblicazioni de «La Giovane
Democrazia» e l’accentuarsi della repressione
nei confronti del movimento dei lavoratori entra
in crisi anche l’Associazione Democratica
Giovanile, essendosi peraltro accentuate le
divisioni tra repubblicani e internazionalisti.
.....
Dalla
scissione dell’Associazione nascono quindi il
circolo repubblicano Pensiero e Azione, di
ispirazione schiettamente mazziniana, e, l’8
ottobre 1872, con trentaquattro iscritti e Carlo
Leoni alla segreteria, la Consociazione dei
liberi lavoratori abruzzesi (poi Associazione
internazionale degli operai amiternini).
Gettando così le basi per un'estrema sinistra
aquilana organizzata e per una distinta presenza
territoriale internazionalista, la Consociazione
viene ammessa il 22 dicembre dello stesso anno
alla Federazione italiana dell’Associazione
internazionale dei lavoratori (AIL). Dopo il
congresso dell’AIL dell’Aia (2-7 settembre
1872), la sezione si schiera con la corrente
anarchica facente capo a Bakunin e Guillaume.
...
De
Marinis ha modo di seguire le vicende,
schierandosi, a sua volta, in seguito alla
scissione dell’Associazione Democratica
Giovanile, con Leoni e con gli anarchici aquilani:
|
|
« Frammezzo
alle specialissime brutture della nostra
provincia, una cosa mi ha rinfrancato lo
spirito; quella di aver finalmente letto
sul giornale «La Plebe» (Lodi, 16
ottobre 1872 n. 109) la costituzione di
una Sezione Internazionale in codesta città.
Ben mi figuro a tal punto il gesuitismo
dei dissidenti, e la rogna che avrà
invaso i sazi godenti. Il marcio non sta
più nei preti, ma negli affaristi
borghesi; nei sapientoni della truffa
legale. […] Il Mutuo Soccorso
dev’essere il pensiero fondamentale:
opportunissima la costituzione di uffizi
di vigilanza sulle diverse amministrazioni
dello Stato, e la cronaca cittadina, onde
frenare il sistema di vessazione, massime
nella giustizia e nelle carceri. Si è qui
che il tuo patronato debba farsi potente:
il detenuto è un seppellito vivo. Bisogna
che acquisti il regolamento carcerario e
lo discuta, popolarizzandone l’odio.
Indispensabile una commissione di
Pubblicità, risultato della vigilanza. A
ciò conviene fissare una sovvenzione
fissa al giornale: la più utile, quella
di rinvenire il maggior numero di
associati; perché la lettura n’è di
istruzione per i giovani e per gli operai.
Ad incoraggiamento dei timidi, proporrei
un registro sul quale ciascuno
liberamente, di proprio pugno, sconfessi
qualunque religione […] » |
|
|
L’attività
politico-organizzativa degli internazionalisti
abruzzesi prosegue quasi senza interruzioni fino
al 1878. Della militanza politica di Gaspare De
Marinis se ne perdono invece le tracce,
probabilmente anche per il fatto che, come aveva
scritto a Leoni, «il mio avvenire economico si
abbuia per antipatie domestiche».
Morirà
l’11 aprile 1893 a Raiano, a soli 53 anni.
|
|
|
|
|
fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Gaspare_De_Marinis |
|