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Di fondamentale importanza per conoscenza delle nostre tradizioni orali, riportiamo le leggende sacre e i giochi fanciulleschi dalle sempre fondamentali opere di

Antonio De Nino, alle quali rinviamo per gli approfondimenti dei nostri usi e costumi.

PORTARE E ANDARE A CAVALLO.

 

 

Il giuoco del portare e dell' andare a cavallo è molto vario e ha denominazioni diverse. Ma tutti e in sostanza si riducono a sviluppo di forza dorsale. Ne descriverò i piú caratteristici.

 

A zompa cavallo

 

A cavallitto

 

Agli asineji

 

A campana

 

quattr' e quattr' otto

 

A scardalà

-   Cappa e cappotto

 

-   A scarica pallotta

 

-   Tappe, tappítte, tappette.

 

10°Polannannà.

 

11°-  A scagliozzi o a picogli

 

FUGA DELLA MADONNA E DI SAN GIUSEPPE COL BAMBINO

 

 

  Nasce l'alloro

 

 

 

 L'ulivo si fa capanna

 

  Gentilezza  del Ginepro e

        dell' Agrifoglio 

 

 

   Il buono e il mal ladrone

 

 

MALATTIE DELLA BOCCA E DELLA GOLA

 

 

Dolori di denti

 

 

 

 

 

 

 


1°- A zompa cavallo

Un ragazzo fa da cavallo e uno da cavaliere. Chi fa da cavallo, si curva, appoggiando la testa a un muro, mentre l'altro gli salta addosso e si mette accavalcioni. Poi annoda a un'estremità il fazzoletto, e dice:

Schìh, schìh, schàh,

Ne vu' cchiú de baccalà?

Se chi sta sotto, risponde di sí, l’altro lo batte.

Se risponde di no, non lo batte ; ma butta per aria il fazzoletto, e poi cerca di riprenderlo prima che cada per terra. Raccogliendolo prima, ripete la stessa cantilena. Alla risposta di sí, batte ; alla risposta di no, fa altra prova del fazzoletto per aria. Quando il fazzoletto cade per terra, il cavaliere deve fare da cavallo nuovo, e il cavallo vecchio fa da cavaliere.

Invece di battere col fazzoletto annodato, si batte anche col cappello, e il cappello si getta per aria, e deve ripigliarsi prima che vada per terra.

Questo giuoco si chiama anche fare alla mula o a salta mula.

Inizio
 

 

 

 


2°- A cavallitto

A cavallitto assomiglia molto a zompa cavallo. Un fanciullo si curva e si appoggia al muro con le mani. Il primo a saltargli addosso, dice alcune parole inigiuriose o scherzose contro il secondo che deve anche saltare. Se il secondo non ripete le stesse parole o non le ricorda, si mette sotto e saltano gli altri, sempre con l’obbligo di ripetere le male parole o le parole di scherzo. Poi si ricomincia il salto senza parole d' ingiuria o di scherzo. Ciascuno salta e discende; ma nel discendere lascia di traverso, sulla schiena di chi fa da cavallo, un fazzoletto. Nella terza pruova, colui che salta, deve acchiappare il suo fazzoletto, senza far cadere i fazzoletti degli altri. Se lo acchiappa, è proclamato vittorioso; diversamente, deve curvarsi e fare da cavallo.

Il nome del giuoco varia : A Jonta longa, ,a zompa arrete (dietro).

Inizio
 

 

 

 


3°- Agli asineji

C' è la mammina che sta seduta, e sei fanciulli si curvano, il primo nel seno della mammina e gli altri appoggiati alle anche dei compagni. Sei altri fanciulli, da un dato punto, prendono la rincorsa, e il primo di essi salta sulla groppa dell'ultimo asinello e, andando così accavalcioni, deve arrivare alla groppa del primo asinello, cioè di chi sta curvo sul seno della mammina. Gli altri cinque fanno lo stesso ; sicché, in ultimo, ciascuno degli asinelli deve avere in groppa un asinaro. Ma, qualora, nel salto che fanno, sganginano, si verifica un mezzo danno e un mezzo vantaggio. Chi ha sbagliato, non può piú cavalcare, e chi è rimasto senza l'asinaro, acquista il diritto di uscire dalla fila, senza portare piú alcuno in groppa. I1 giuoco si chiude con una cavalcata. Gli asínelli, se vogliono sgravarsi degli asinari, debbono portarli in giro un numero di volte da un punto a un altro, secondo che' si è anteriormente stabilito.

Inizio
 

 

 

 


4°- A campana

Tu vedi che i fanciulli si sono messi in linea retta, a pochi passi di distanza l’uno dall'altro, tutti curvi con le mani appoggiate sul ginocchio sinistro e con la gamba  destra un po' indietro. - Che faranno ? - L'ultimo deve saltarli di netto, da una parte all'altra, a uno a uno, e subito mettersi nella stessa posizione innanzi a tutti. Segue il penultimo che è già diventato l’ultimo e si pone ancora innanzi ; e poi il terzultimo, e cosí via via.

Intanto s'invade sempreppiú lo spazio innanzi, e il giuoco non cessa, se non si trova un ostacolo.

C' è da notare il caso dello sbaglio o della caduta di quello che salta. Chi sbaglia, non può continuare il salto e deve andare a mettersi curvo per capofila.

Curiosa un'altra denominazione di questo stesso giuoco: fare a gnicche e gnelle !

Inizio
 

 

 

 


5° - quattr' e quattr' otto.

Qui c’è la mamma che dirige e non la mammina. I finciulli sono di numero pari: quattro si curvano e quattro saltano ; ma con una sola condizione si va in regola, che cioè il primo deve mettersi a cavallo al primo che sta curvo, il secondo al secondo, e cosí via via. Quando tutto procede con questa regola, i cavalcanti restano alcuni minuti fermi, e scavalcano subito che la mamma grida:

Uòrio! (orzo)

In caso di sbaglio nel cavalcare o se anche chi ha cavalcato tocca un piede per terra, chi stava sopra, si mette sotto, e il giuoco continua.

Inizio
 

 

 

 


6° -A scardalà

Un ragazzo si curva e un altro si mette a cavallo. A breve distanza due altri fanno lo stesso.

Uno dei cavalcatori si leva il cappello e dice :

Scrì, scrì, scardalà':

Màmmet 'ha fatto le pà'.

E col cappello sferza il  cavallo e poi butta il cappello verso l’altro cavalcatore. Se questi lo ac-chiappa dice anch' esso : Scrí, scrí, scardalà ; e sferza il suo finto cavallo e poi butta il cappello all'altro. Chi non acchiappa il cappello, deve scendere e l’altro gli salta addosso.

Inizio
 

 

 

 


7° -   Cappa e cappotto.

È simile al precedente ; ma invece di dire, scrì scrì, è solito dirsi:

Cappe e cappotte,

Ntelinghe e ntelocch.

Inizio
 

 

 

 


8°- A scarica pallotta

 

Non si dice più,scrí scrí, né cappe cappotte; ma:

Uno, due, tre e quattro,

Cinque, sei, sette e otto,

Scàreca pallotte.

Ovvero semplicemente:

Quattr'e quattr'otte,

Scàreea pallotte.

 

Inizio
 

 

 

 


9°- Tappe, tappítte, tappette.

- Ora si fa a tappe, tappitte, tappette  -

Si, si: ci divertiremo meglio.

Le fancìulle (poiché il giuoco è delle sole fanciulle) si mettono a coccoloni, in modo che le ginocchia si tocchino, da rassomigliare cosí a una ruota. Ognuna posa la mano destra aperta sulle proprie ginocchia.

Una di loro che governa il giuoco, recita la seguente filastrocca, con una specie di cantilena, toccando a ogni parola un dito delle tante distese sui ginocchi:

Tappe, tappine, tappette,

Piglia la mamma e la figlia tucchetta (o purchetta).

La mamma è ite a Roma

A piglià' tre bettune,

Tre bettune e 'na barracca,

Uno e d u' e tra e quattro.

Il dito toccato nel pronunziare la parola quattro, si chiude, e restano aperte le rimanenti quattro dita.

 Poi si séguita a recitare la stessa filastrocca, e si ripiega il dito che si tocca alla parola quattro. Già s'íntende che a ogni recitazione un dito si ripiega, sino a che di tanti ne rimangono due.

Chi dei due rimarrà disteso ? Non si sa. Le fanciulle che hanno tutta la mano chiusa, si levano, e guardano con curiosità l'esito dell' ultima filastrocca. - Une e due e tre e quattro.... - Al quattro, una mano istantaneamente si chiude e un' altra resta con un dito disteso.

Hai perduto! hai perduto! Dicono a quella che rimane col dito disteso. -Hai perduto ! hai perduto ! - Intanto la perditrice chiude anch'essa la mano e l’ alza, quasi mínacciando di rifarsi coi pugni.

Ma le compague la esortano a stare ai patti, e sorridendo dicono : - Via, ti faremo una via corta ; ci porterai a cavallo da questo punto a quello.

La perditrice sorride anch' essa e si rassegna alla penitenza. Non si sa ancora chi deve montar su, per prima. Salta su, alla perfine, la ragazza che ha saputo persuadere le altre. Se non e' è accordo, si ricorre alla sorte, facendo al tocco.

La paziente comincia il trigitto, da quel punto a quell' altro stabilito, recando sulle spalle, dalla prima all' ultima, tutte o quasi tutte ; giacché accade qualche volta che la perditrice si stanca, manda in malora chi le sta sulla groppa e mette a carte quarantotto le altre che aspettavano il turno della cavalcata.

Un allegro litichío è sempre il coronamento del giuoco che riesce bene.

Inizio
 

 

 

 


10° - Polannannà.

Per questo giuoco ci vuole il numero pari dei fanciulli, e si fa il conto a strascíno. - Quanti diti?-Sono dieci. Finisce a te. Ma continuiamo il novero : uno, due, tre, quattro e cinque. Voi del cinque, dunque, dovete mettervi sotto.

-E i cinque, sorteggiati col conto a strascíno, si curvano, e gli altri cinque si mettono accavalcioni. Cavalli e cavalieri scorrazzano in tutti i versi. Se cade il cavaliero, deve diventare cavallo, e l’altro fa le veci del cavaliero.

Inizio
 

 

 

 


11°- A scagliozzi o a picogli

Si disegnano per terra col gesso o col carbone cinque circoli a croce, come si fa delle cinque fossette, e a ciascun circolo si dà un numero, disegnato anche col carbone o gesso, cominciando da un angolo e terminando nel mezzo coi numero cinque. Questi disegni si chiamano scagliozz.i Un segno lineare si fa alla distanza di quindici o venti passi dagli scágliozzì. E di qui, per turno, si tira con una piastrella.. Se la piastrella si ferma fuori dei cinque circoli, non si vince e non si perde. Ma -se si posa in uno dei.circoli, il giocatore ha vinto, e tutti gli altri devono portarlo sulle spalle, uno per volta, dal segno lineare fino ai circoli, e tante volte, per quante ne indica il numero del circolo dove si posò la, piastrella.

Inizio
 

 

 

 


NASCE L'ALLORO.

San Giuseppe e la Madonna col Bambino avevano camminato tutta la notte. Sul far del giorno si fermarono a una masseria. Il Bambino stava un poco sporco; perchè erano mancatì i pannicelli. Durante il viaggio, la Madonna aveva lavati i pannicelli, e li aveva stesi a una siepe. Ma la Zingarella se li era rubati. Disse la Madonna alla padrona della masseria: - Dammi qualche panno e un po d'acqua per lavare questo Bambino. - La massaia diede panni e acqua. E così la Madonna lavò ben bene il Bambino, e poi gettò l'acqua innanzi la casa. E, dove cadde quell'acqua, nacque un alloro.

Appena la Madonna si licenziò, vennero i Farisei che domandarono alla padrona di casa: -Quando è passata una donna col bambino ? - Rispose: - Passò, quando nacque quest'alloro.

Inizio
 

 

 

 


L' ULIVO SI FA CAPANNA

Erano tante le squadre dei Farisei, che se ne incontravano a ogni passo. La Madonna ne vide venire una vicinissima. Dunque non c'era più scampo. Non si scorgevano nè case, nè capanne, nè grotte. S'affrettò a entrare in un oliveto. I Fariseí già gridavano: Ferma ! ferma ! La Madonna allora pregò una pianta d' ulivo : - Fateci la carità., nascondeteci. –L’ulivo si aperse a modo di capanna, e vi entrò la Madonna col Bambino e San Giuseppe; poi si richiuse. E dentro vi era anche luce, perchè non ci mancava l'olio. I Farisei, che avevano visto poco prima la Madonna e a un tratto era scomparsa, non si potevano far capaci. Cercarono per tutto l'oliveto : non ci lasciarono un dito di terreno. E cercarono e ricercarono anche parte della notte. Sul far del giorno, disperati, tornarono indietro.

Allora l’ulivo sì aperse. N'uscirono la Madonna col figliuolo e San Giuseppe. Disse la Madonna all' ulivo : - Il tuo frutto sia santo ! - Perciò si dice l’olio santo. E, perciò, con l’olio, noi ungiamo le scottature, le ferite, i tumori ; e diciamo:

Olio d' Allivo,

Ch'allumasti nostro Signore Gesù Cristo,

Leva da sta carne battezzata ogni dolore tristo.

Inizio
 

 

 

 


GENTILEZZA - DEL GINEPRO E DELL’ AGRIFOGLIO

San Giuseppe si sforzava a camminare, ma restava quasi sempre indietro. La Madonna non vedeva l'ora di giungere e di mettersí al sicuro. Ecco che si videro altri Farisei; ma questa volta andavano a cavallo. C'era dunque maggior pericolo di cadere nelle loro mani. La Madonna disse:

- Corri, Giuseppe, corri ! - San Giuseppe, appoggiato al suo fiorito bastone, raggiunse la Madonna. Si trovavano in mezzo a una macchia di nìbbele. La Madonna disse a un ginepro: - Per amor di Dio, nascondimi questo Bambino. - Il ginepro si aperse, circondò il Bambino, e poi si chiuse. I Farisei videro una giovane e un vecchio, senza alcun fardello, e tirarono di lungo.

Ma, poco dopo, ecco venire un'altra schiera di Farisei a cavallo. La Madonna si trovava in mezzo a una scogliera. Si appiattò accanto a un agrifoglio; e sperava che i cavalli non potessero attraversare quegli scogli. Ma i cavalli erano indemoniati, ed entrarono nella scogliera. La Madonna non vide altro scampo, che nella gentilezza dell' agrifoglio. Si rivolse a quello, e gli disse : Agrifoglio gentile, nascondici tra i tuoi rami. –L’agrifoglio allargò i rami; entrarono San Giuseppe e la Madonna col Bambino; poi i rami si richiusero. I Farisci cercarono dappertutto, e non videro che rocce, e attaccato a una roccia un solitario agrifoglio.

Quando i Farisei furono partiti, l'agrifoglio si aperse. La Madonna non rifiniva di benedire l’albero gentile; e, prima di partire, gli disse Tu sarai sempre verde.
Inizio
 

 

 

 


IL BUONO E IL MAL LADRONE.

Non bastavano le schiere dei Farisei! Ci volevano anche le masnade dei ladroni ! Un ladrone disse ai compagni: - Passa una bella donna. Rubiamocela. - Lo sentì il capo ladrone: - Alto là! i io sto coi guai, e voi pensate alle sciocchezze ?

La Madonna non è in tempo a nascondere il Bambino. Si fa innanzi il capo ladrone : -Bella donna, perchè non vieni a visitare un mio bambino che sta coperto di piaghe, e non ci trovo rimedio? Ah se tu potessi dargli. qualche aiuto!

La Madonna entrò nella grotta del capo ladrone. La moglie di lui presentò alla Madonna il piccolo infermo. E sapete che fece la Madonna? Tolse le fasce al Bambino Gesù; gli tolse. la camicella; lo messe a una tinozza d’acqua, e lo lavò ben bene. Poi con quell'acqua lavò il bambino del capo ladrone; e quel bambino in un attimo si guarì. La malattia di quel bambino era la lebbra.

Il capo ladrone voleva ricoprire d’oro il Bambino Gesù; ma la Madonna disse di no. Il capo ladrone allora accompagnò la Madonna per un buon tratto di via, sempre benedicendola.

Quello che voleva rubarsi la Madonna, fu il mal ladrone; l'altro, il buon ladrone. Tutti e due finirono la vita in croce sul Calvario, di qua e di là da Gesù Cristo. Ma il paradiso toccò solo al buon ladrone.

Inizio
 

 

 

 


DOLORI DI DENTI.

C'è un proverbio che dice:

 

A uocchie e diente

Non ce vole niente.

In quanto agli occhi, siamo d'accordo. Ma per i denti! Volete sentire una litania di rimedii? Armatevi di pazienza. Al buco del dente cariato si applica un acino di pepe o un chiodetto di garofano o un pezzettino di sale o di canfora o uno stoppaccetto di foglia di tabacco o uno stoppaccetto di bambagía, bagnato ad acqua dove sia bollita foglia di tabacco, o bagnato ad acqua della scala, fatta bollire in una paletta di ferro insieme con qualche acino di sale. Se no, apri la bocca, e favvi entrare il fumo di malva. Bada però che, con la radica della ceraddonica, cessa il dolore, ma se ne cascano i denti. Lo stesso accade con l'uso della cera de lla ‘liva o con le bagnature di spirito, ossia dell'alcool. E niente è buono jiù 'llume arze, avvolto in una pezzuola?

E non giova anche uno stoppaccetto di tela di canapa o di lino, bagnato all'olio e riscaldato alla fiammella di una lucerna? E che miracoli non fanno i gherigli dì noce, fumati a una pipa nuova di creta? E i suffumigi coi semi del tasso? e il latte di tittimaglio? e un ferro rovente introdotto nella carie o pochi semi delle cottorelle?

Da altri si preferisce il mattone caldo o una chiarata con la stoppa, anche ai piedi. La chiarata, ma cosparsa di pepe tríto, si suole applicare, altresì, sulla guancia, dalla parte dove duole il dente.

Vi sono poi gli sciacquamenti: boccate di decozione di malva; boccate di vino caldo ; boccate d'infuso di scorze di quercia; boccate di aceto forte, dove siano stati immersi due o tre fondi roventi di bicchieri di vetro, oppure due o tre pietre silicee arroventate.

Di tutti questi rimedii, i divoti se ne impipano; e ricorrono a Dio e ai santi. Si fanno chiudere gli occhi alla persona cui dolgono i denti, mentre la medichessa recita:

Sante Linarde ppe' mare jieve,

La Vérgene Marije li riscuntreve.

- Cchi fai Linarde, che vaji piangende? -

- Vaji piangenne, cha mme dole lu dende. -

            Se è llu dende, pozza cadì’!

Se è llu verme., pozza murì’!

Priéme Di', la Vergene Marì,

Sctu dulore de dende se ne va, vi',

Poi non altro che tre croci.

Ancora i divoti toccano il dente guasto col ferro benedetto da San Domenico di Cucullo.  È un arnese piccolissimo, simile a ferro di cavallo coli un'assicella       verticale a un'estremità del ferretto medesino. Si fa benedire dalla statua del Santo, e così può fare l’ufficio suo, quello, cioè, di guarire i denti magagnati.

Fortunato però chi andò alla chiesa di San Domenico, e tirò coi denti la fune della campanella del Santo miracoloso! Colui non soffrirà mai dolori di denti.

L'ultimo è proprio la crema di tutti i rimedii. Quando il dolore dei denti è insoffribile, il marito si raccomanda alla moglie o la moglie al marito. Poniamo che la moglie si raccomandi al marito. La moglie grida:-Marito mio, aiutami! Non ne posso più! Mi sento scoppiare gli occhi!- I1 marito si commuove, e accende il fuoco. Poi spicca da un chiodo una padella di ferro, e, così vuota, la mette sopra la viva fiamma. Mentre si arroventa, il marito dà delle istruzioni alla moglie: -Mettiti a sedere, e chiudi gli occhi.- La moglie siede con gli occhi chiusi. Il marito afferra la padella rovente e fa come se voglia metterla sul capo della moglie a guisa di cuffia, ma a una certa distanza dai capelli. La donna si fa rubiconda e strillazza. Il marito amorosamente la esorta a sopportare la cuffia quanto più può e, quando essa non può più resistere, il marito allora butta via la padella.-Ti duole più il dente? - No. - Sfido io!

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