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Arte
e Letteratura |
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L'
arte e la letteratura dimostrano che l'Abruzzo non è mai
venuto meno ai rapporti con la cultura nazionale ed europea.
Le prove e le testimonianze abbondano, e non da decenni: da
secoli.
D' Annunzio, abruzzese purosangue, fu tra le massime
espressioni della letteratura, politica e costume dell'Italia
nel quarantennio tra '800 e '900.
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Gabriele
D'Annunzio
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Poeta,
romanziere, drammaturgo,oratore, soldato e comandante,
aviatore ed eroe: una medaglia d'oro (1919) e cinque medaglie
d'argento al valor militare. D'Annunzio nacque nel 1863 a
Pescara, città alla quale rimase legato da un amore viscerale
e intensissimo. Studiò nel collegio Cicognini di Prato dal
quale rischiò ripetutamente l'espulsione per quel carattere
irrequieto che già da ragazzo mostrava. Ingegno precocissimo,
egli esordì con la raccolta di versi Primo vere (1879).
Letterato, giornalista e politico, compose a Roma le novelle
Terra vergine (1882) e il romanzo Il piacere (1889) che lo
consacrò in tutta Europa. Si sposò con la duchessa Maria di
Gallese ma il suo grande amore (anche se ne ebbe, come si sa,
tantissimi) fu Eleonora Duse che gli fu compagna per un
decennio e tanta produzione letteraria gli ispirò. Dal 1898
al 1910 visse a Settignano, in Toscana, nella villa 'la
Capponcina'. Sono di quel periodo le sue 'dissolutezze' e i
suoi dissesti finanziari. Da qui l'esilio volontario in
Francia, ad Arcachon. Poi il ritorno in Italia per la guerra:
fu nel V Lancieri di Novara, volò su Pola bombardandola; nel
1918 ideò e attuò la 'beffa di Buccari' e progettò e guidò
il volo su Vienna. Nel dopoguerra insorse contro i trattati
che umiliavano l'Italia e per 15 mesi governò, dopo esservi
entrato con un manipolo di soldati e di Granatieri di
Sardegna, su Pola dettando la Carta dei Carnaro, una sorta di
Statuto, sino a quando decise di arrendersi per -evitare una
guerra fratricida» tra le sue truppe e gli equipaggi delle
navi inviate dal governo con l'intento di far sgomberare Pola.
Si ritirò sul lago di Garda, nella, sua villa presso Gardone
Riviera, il famoso Vittoriale, a lavorare. Nel 1924 Vittorio
Ernanuele III gli attribuì il titolo di principe di
Montenevoso. Mori al Vittoriale nel 1938. Tra le sue opere
vanno ricordate La città morta del 1898; Francesca da Rimini
dei 1901; La figlia di Iorio (1904), nella quale rivive
l'antica
tradizione pastorale d'Abruzzo; La fiaccola sotto il moggío
dei 1905; La nave del 1908. Tra i romanzi vanno citati in
particolare il Trionfo della Morte (1894), il fuoco (1900), Le
vergini delle rocce (1896). C'è poi il Notturno e ci sono le
opere scritte in francese, lingua che D'Annunzio conosceva
perfettamente. Ci sono, ancora, le Laudi (1903-1916) coi primi
cinque dei sette libri intitolati alle Pleiadi: Maia, Elettra,
Alcyone, Merope e Asterope. L'opera è rimasta però
sostanzialmente incompiuta. Le ultime opere sono del 1935 e
dei 1936: Cento e cento e cento e cento pagine del libro
segreto e un testo scritto in francese medievale. La critica
letteraria, lungamente influenzata negli ultimi anni da
preconcetti ideologici sulla figura dello scrittore, sta oggi
valutando nella giusta luce l'opera di un autore che ha
innegabilmente affascinato numerosi lettori. E però forse
superfluo parlare del valore letterario di D'Annunzio, del suo
genio e del suo coraggio. Vale invece la pena di ricordare qui
il suo attaccamento all'Abruzzo. Amò Pescara, la sua città,
al punto da battersi per ottenerne l'unificazione con
Castellammare e la nascita della provincia, il che
puntualmente avvenne nel 1926. Amò i suoi amici abruzzesi e
il dialetto pescarese componendo spesso in vernacolo poesie
dedicate a gente d'Abruzzo. La sua casa natale in corso
Manthonè, nella vecchia Pescara, è oggi Museo e conserva
foto, cimeli e ricordi del Vate, oltre che tutte le sue opere.
Per suo espresso volere, anzi, come condizione ad un aiuto
economico, nella cattedrale di San Cetteo sono conservati i
resti dell'amata madre, donna Luisa, alla quale la città di
Pescara ha dedicato una via.
A D'Annunzio, invece, sono
intitolati il liceo-ginnasio, il teatro e la pineta. Sul
lungomare c'è perfino uno stabilimento balneare chiamato con
il nome della sua villa toscana, la Capponcina.
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Dinastia
dei Cascella
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Un
ruolo importante nella Storia dell'Arte Abruzzese viene
rappresentata dai Cascella.
La
storia dei Cascella, è la storia di tre generazioni, tenendo
conto di tutte le componenti che in un secolo e più di
"attività" lí hanno contraddistinti e precisandone
la molteplicità di annessi e connessi, di ordine non solamente
artistico ma di costume, e quindi etici e (perché no, visto che
oggi pare che da questa categoria non si possa prescindere)
sociologici: se è vero che a cavaliere dei due secoli ultimi
l'Abruzzo rivelava all'improvviso, attraverso interpreti mai
tanto doviziosi, tutta una potenzialità a lungo tenuta nascosta
o repressa, a "fare" (e non più subire) storia,
appunto, nell'accezione ampia del termine, coinvolgente
intelletto e spirito, dunque anche sostanza per così dire
etnica, a sottinteso dei vari livelli in cui si attuava
l'entrata in campo, letterario e artistico soprattutto.
In quella
storia che si farà dei Cascella, avrà una parte ragguardevole
il solito D'Annunzio, nume e oracolo già per Basilio, il
capostipite, che gli era quasi coetaneo, di tre anni anzi più
vecchio, ma che senza dubbio ne discendeva per taluni modi da
lui acquisiti d'interpretare la ìterraî e il suo mito, secondo
gli statuti che il poeta, e più il narratore, avevano fissati
nelle prime opere giovanili.
Ma occorrerà poi subito verificare i limiti e i termini
cronologici di quella soggezione, guardando per esempio alle tre
fasi in cui si produsse l'operazione certo più rappresentativa
di Basilio Cascella, quella sua impresa editoriale sorprendente
per i tempi nei quali si realizzava: le prime due serie della
Illustrazione Abruzzese ( 1899 e 1905) e la Grande Illustrazione
(1914/15); osservando cioè il distacco graduale dapprima, e poi
netto, proprio dai presupposti dannunziani che avevano informato
i primi fascicoli, sicché negli ultimi ó della primavera del
'15 ó entravano scrittori futuristi, mentre nel settore
dell'arte figurativa si faceva spazio agli stranieri, novatori
pur se in misura assai moderata.
Quelle pubblicazioni rimandano díacchito allo stabilimento ìcromolitografico
che Basilio Cascella aveva aperto a Pescara, in una zona allora
quasi deserta, qualche centinaio di metri a sud del fiume, verso
il mare, lontano quindi da San Cetteo e dall'arco della
Portanova, cuore della vecchia cittadina di fine secolo.
Lo stabilimento paterno diveniva il composito microcosmo dove si
saggiavano le virtù dei figlioli, Tommaso, Michele e
Giovacchino, per il tramite di conoscenze ed esperienze diverse
e disparate, umane e artistiche: esaltanti sempre le seconde, in
virtù dell'inesauribile vitalità di Basilio e dell'andirivieni
continuo dei tanti collaboratori delle sue riviste; meno alate
le prime, sul paradigma di una vita condotta tra mille difficoltà
pratiche, alle quali le idealità di Basilio (dati anche i
tempi) non sempre bastavano a provvedere.
I ricordi di Michele, sono a questo proposito illuminanti,
consentendoci di prendere cognizione delle radici umane, fatte
di lunga e serena pazienza, che in grande misura hanno formato
la dimensione etica dell'allora crescente "seconda
generazione", dei Cascella.
Lo stabilimento di Basilio, sorto nell'ultimo decennio del
secolo, doveva rimanere dunque successivamente il punto di
riferimento naturale, anche per i figli che se n'erano andati,
come Michele e come Gioacchino. Vi restava invece anche
fisicamente Tommaso, il primogenito, facendone studio e
abitazione, e custodendovi le memorie e i cimeli di tante
vicende, di tanta ostinata volontà di operare.
Il ricordo di quel fervore, che tutto ciò che è accolto nel
Museo Cascella rifà vivo, non varrà a dar ragione,
giustificandone proprio nel giudizio d'insieme le zone e gli
atteggiamenti che parrebbero in sé discutibili, ad un impegno
tanto assoluto cosi totale sul piano delle intenzioni?
Cosi, sul filo di queste tante e molte ragioni, il Museo
Cascella assume le vesti di un monumento altamente
significativo.
E' un documento che Pescara mette a disposizione non solo di chi
ami trovare o ritrovare esemplificata l'opera di sei artisti che
per tempi e livelli diversi hanno rappresentato e rappresentano
qualcosa nell'arte italiana, ma di chi voglia indagare alle
origini certi nodi remoti, e " provinciali", per i
quali l'arte e la cultura nazionali sono purtuttavia passati.
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